TANGO PUNTO
riflessione semi-seria su una didattica differente
di Sara D’Ajello Caracciolo
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Molto spesso le persone che frequentano il “giro” del tango, poco importa se da giorni o da anni, iniziano una conversazione con me con una frase ricorrente del tipo: “ah…tu che insegni il tango nuevo al tinghel…”, frase sempre simile, ma pronunciata con i toni più diversi, che vanno da una mal dissimulata diffidenza ad una peccaminosa curiosità, dal sottile biasimo fino all’infervorata ammirazione. In ogni caso il mio interlocutore rimane di solito alquanto deluso quando lo fermo all’istante, precisando che insegno semplicemente tango, né nuevo né milonguero, né figurato né elettronico…né acrobatico (giuro che non si tratta di una trovata spiritosa, ma di una domanda che mi è stata seriamente rivolta). Nella maggior parte dei casi mi si chiede che tango insegno allora, visto che non insegno tango nuevo. E a questo punto la delusione sul viso dell’interlocutore di turno si fa piena e assoluta, perché di solito sorrido, e accompagnando le parole con un piccolo gesto dell’indice della mano destra, come a premere un bottone immaginario a mezz’aria tra la mia faccia e la sua, rispondo che “insegno tango, punto”.
A mio avviso la causa principale di questo equivoco sta nel fatto che con il progetto “Sulle rive del Tango” portiamo avanti da tempo una “spassionata” ricerca musicale su tutti quei ritmi o armonie che hanno uno spirito di tango pur non essendo tanghi tradizionali. Così nelle nostre milonghe si ascolta e si balla la musica più varia, dagli arrangiamenti moderni di tanghi tradizionali (elettronici e non) alle canzoni d’autore italiane e francesi, dai ritmi balcanici alle voci sudamericane, dalle sonorità dell’Est o Nord Europa a quelle del rithm&blues statunitense, e tutte quelle altre musiche che “stanno strette” dentro qualunque definizione.
Questo è indubbiamente un approccio nuovo rispetto al modo tradizionale di stare in milonga, anche se più che nuovo lo definirei semplicemente diverso, visto che sono ormai diversi anni che in tante parti del mondo si fa ricerca e sperimentazione musicale nell’ambito del tango. In ogni caso dire “un approccio nuovo” non è la stessa cosa che dire “tango nuevo”.
Senza entrare nel campo spinoso delle definizioni, ed aggiungere ai già stracolmi “glossari” del tango un’ulteriore spiegazione del termine, riporto semplicemente alcune delle idee a mio avviso più in voga fra i ballerini e gli avventori del tango: quando si dice “tango nuevo” c’è chi pensa principalmente all’abbraccio aperto, chi ai movimenti in fuori asse o ai boleos in linea, chi lo definisce come tango destrutturato, chi pensa alle innovazioni musicali di Astor Piazzolla o alle contaminazioni contemporanee con la musica elettronica, e chi pensa soltanto a Chicho Frumboli, le cui esibizioni ha guardato svariate migliaia di volte in you tube, armato dei tasti pausa e play, di tanta buona volontà, e della speciale convinzione che a furia di fissare il monitor prima o poi avverrà il passaggio della scintilla divina dallo schermo alla vita reale. In ogni caso al dire “tango nuevo” si pensa generalmente ad uno stile specifico, contrapponendolo di solito al “tango milonguero”.
Ora, senza nulla togliere alla validità di ognuna di queste interpretazioni, semplicemente mi interessa chiarire come l’utilizzo di una “didattica nuova” non coincida (almeno non nel mio caso) con l’insegnamento dello stile “tango nuevo”.
E se per l’ambito musicale preferivo l’aggettivo “diverso” piuttosto che “nuovo”, ancor più lo preferisco parlando del metodo d’insegnamento, poiché sarebbe un notevole atto di presunzione attribuirmi l’ideazione di un metodo, che di base lavora sul tango come danza di improvvisazione. Anche in questo campo la ricerca procede da anni, dando vita a innumerevoli sfumature del punto di vista e approcci differenti.
Il metodo di insegnamento che uso è naturalmente la mia personalissima sintesi fra tutto ciò che ho studiato, visto, attraversato, sperimentato, ed è “diverso” semplicemente perché non parte dalla forma ma dalla comunicazione, non studia passi ma dinamiche corporee, non lavora su sequenze o coreografie ma sulla capacità di improvvisazione.
E non perché la forma, i “passi”, la coreografia non siano importanti, ma perché mi sembra di gran lunga più interessante “riempire” tali forme con il proprio modo di interpretare il presente, piuttosto che eseguire più o meno bene delle forme vuote. C’è una grande differenza tra l’esecuzione più o meno riuscita di una forma o sequenza di posizioni, e la capacità di abitare lo spazio e il tempo presente con la pienezza del proprio essere… più o meno la stessa differenza che intercorre tra “muoversi” e “danzare”.
Affermare che il tango, qualunque sia lo stile considerato, è improvvisazione e comunicazione è una considerazione banale. Tuttavia è assolutamente meno banale chiedersi come si può insegnare ad improvvisare e a comunicare attraverso la danza.
E qui è forse necessaria una piccola precisazione sul termine improvvisazione: perché l’improvvisazione non è solo la possibilità di combinare in modi diversi passi o figure apprese, ma anche e soprattutto la capacità di trasformare in azione (danza, in questo caso) gli stimoli provenienti dal momento presente (improvvisa-azione).
Per improvvisare è quindi necessario innanzitutto stare nel presente (col corpo e con la mente), poi leggere il presente (riconoscere situazioni note o essere disponibili a conoscere quelle sconosciute), per poi interpretare (e quindi modificare) il presente attraverso il proprio movimento. E quando la capacità d’improvvisazione è abbastanza allenata, tutto questo processo, che sembra tanto complicato, avviene nel medesimo istante: leggere e interpretare, ascoltare e agire avvengono contemporaneamente.
Ritornando specificamente alla didattica del tango basata sull’improvvisazione, ho potuto sperimentare negli anni che se esercitando la capacità di improvvisazione è possibile arrivare a tante forme diverse (intese come “passi” ma anche come possibilità di relazione), quindi arricchire il proprio tango di tante variazioni, non è altrettanto agevole il percorso inverso, cioè sviluppare la capacità di improvvisare (e di proporre variazioni) a partire dall’apprendimento di forme o sequenze prestabilite. Per contro è molto più difficile l’apprendimento (e lo sanno bene gli allievi dei corsi principianti!): per quanto detto sopra è evidente che imparare a improvvisare richiede un impegno fisico ed emotivo notevolmente maggiore rispetto all’imparare ad eseguire una qualunque sequenza di passi.
“Sì, ma in pratica… - voce spazientita di qualcuno che già sbuffava da un bel po’ e non si sa come abbia resistito leggendo fin qui tutta ‘sta roba filosofica – in pratica… tu che fai nelle lezioni?”
Bella domanda.
Non insegno uno stile specifico, ma insisto su una modalità di relazione che permette di viaggiare fra tutte le varie possibilità. Insegno l’ocho, i fuori asse, i cambi di peso, le sacadas, e tutte quelle altre cose che hanno nomi affascinanti e misteriosi per le nostre italianissime orecchie.
Ma soprattutto cerco di fornire agli allievi quegli strumenti per stare, leggere, interpretare il presente, che rendono possibile una vera improvvisazione.
Strumento primo è il corpo: si lavora sulla consapevolezza del corpo e delle sue dinamiche (equilibrio, collegamenti fra le parti, movimenti delle articolazioni sono solo alcuni esempi). Affinando questa consapevolezza si lavora sulle innumerevoli relazioni tra il corpo e lo spazio (proprio, della coppia, del gruppo), il tempo, la musica, l’altro. Se la percezione è sveglia, queste relazioni ci riservano sempre delle sorprese, ed è qui che entra in gioco la creatività di ciascuno, attraverso cui è possibile modificare la relazione stabilita, creando la propria danza, che sarà differente a seconda del momento, del proprio intuito e della propria percezione, ed anche dei propri limiti.
La finalità è ballare, ballare un tango reale perché espressione di un corpo e di un’anima specifiche, e non imitazione di un fantomatico modello ideale.
Pausa. Play…Pausa. Rewind. Play…Pausa.
Forse a questo punto risulterà chiaro come mai questo lavoro non ha a che fare solo col tango ma attraversa discretamente altri campi dell’espressione e della comunicazione, e da questi attinge spunti e nutrimento. E risulterà chiaro, almeno nelle mie speranze, quanto tutto questo non ha nulla a che vedere con la scelta, che io rispetto, di insegnare il tango nuevo o il tango milonguero.
Senza avere la presunzione di riuscirci, so che il motivo per cui ho fatto del tango il mio mestiere sta nella voglia di trasmettere quel senso di libertà meraviglioso che ho scoperto danzando, libertà che io per prima devo continuamente studiare e ricordare a me stessa, per non perdere l’allenamento. Parafrasando una frase di un vecchio professore dei tempi dell’università, uno di quei saggi uomini d’altre epoche che è una fortuna incontrare sul proprio cammino, mi piace insinuare che la libertà è come un muscolo: se non si allena si atrofizza.
“Ognuno balla come è”. Ne parlavo non molto tempo fa con Patricia e Gisela, amiche e insegnanti straordinarie. Ognuno balla come è, ed è per questo che non amo le classificazioni in generi e l’affannarsi delle argomentazioni a difendere l’uno o l’altro stile di tango.
Non amo dare né ascoltare definizioni definitive, ma in compenso mi diverte leggere in internet le definizioni sempre più specifiche di nuovi stili - il Nuevo Milonguero, il Liquid Tango, … - che cominciano a guadagnarsi popolarità e consensi nella scena internazionale.
E’ per questo che sorrido un po’ sconsolata quando mi dicono che insegno il tango nuevo, e non mi piace quando le persone che mi invitano a ballare mi chiedono “balli stretto o largo?”. E’ come dare un nome ad una cosa che non esiste ancora, è come pre-occuparsi del passato o del futuro, invece di occuparsi un poco del presente.
Mi rendo conto che non dare un nome, un’etichetta aggiuntiva, un titolo dal suono accattivante, a ciò che cerco di trasmettere è difficile, ed è anche commercialmente poco funzionale, soprattutto in un mondo che tende a semplificare ed ha una vera e propria adorazione per gli specialismi e la sbrigativa fruibilità di ogni cosa, ma finora l’unico nome esatto che ho trovato per descrivere ciò che faccio è semplicemente tango. Punto.
Tango Punto…che poi a pensarci bene non è niente male come nome alla moda per il prossimo rivoluzionario stile di tango!
(Rosario, Argentina - novembre 2009)